Archivio mensile:giugno 2007
Metallica & Megadeth nell’anno del signore 1986
La vita psichedelica di Alan
La vita psichedelica di Alan
Questa mattina Alan ha avuto una colazione psichedelica.
Poi è uscito di casa con passo incerto, nella speranza di evitare i pali che un dio ha messo sulla sua strada. Le sue percezioni sensibili sono alterate, la vista annebbiata e confusa. È solo tra tanta gente.
Io ero al bagno. Osservavo Alan afferrare il sogno tra i denti e svegliarsi ogni giorno con interesse verso una vita che non gli riservava granché. La mattina scendeva da letto con gli occhi ancora chiusi, toglieva i capelli dal volto, indossava un maglione, si dirigeva in cucina, beveva un sorso di latte, ingeriva un paio di pasticche multicolore e poi usciva. Ogni mattina.
Alan aveva l’età che ogni ragazzo di ventiquattro anni può avere. La vita in generale lo annoiava. I suoi interessi erano così fuori dal comune che non sarei in grado nemmeno di scriverli. Come si può descrivere la follia? Come la paura della realtà? Potrei raccontare i sogni più nascosti di un uomo che guarda il mondo senza occhi? Alan viveva fino a non poterne più. La sua felicità era così vera. Il suo mondo era il suo e basta.
Questa mattina la nebbia avvolge le case. Spariscono tra ruggiti e lamenti cosmici. Alan cammina stando attento a non farsi rubare le gambe. Le controlla e ogni tanto le tocca per convincersi che non sono un illusione. Quando arriva nel bosco che ognuno desidera si stende tra le foglie arancioni e grigie e attende. Quando chiude gli occhi non vede buio, piuttosto i colori si moltiplicano e ogni cosa prende vita. Aerei dal cielo lo attaccano urlandogli. Gli alberi sembrano non avere senso e cadono in balia di un terreno non stabile, mutabile. Alan capisce. Si rialza da terra cercando di rimanere immobile. Il resto di lui gli saltella intorno credendo di essere vivo. Alan rimane immobile. Mille creature gli vengono contro. Uno gnomo dal cappello rosso sbucato dal nulla comincia a parlargli.
– Il tuo fottuto mondo mi fa schifo- dice.
Da quando gli gnomi dicono “fottuto”?
Alan non risponde.
Lo gnomo prende a camminare con fare sospettoso intorno ad Alan.
– Non rispondi?- chiede ancora il piccolo essere.
Alan non parla.
– Le tue urla non hanno senso-
Alan guarda il cielo e poi l’erba. L’erba era rossa, soffice al tatto e buonissima da mangiare.
Dal sentiero dei conigli giungevano grida. Adesso Alan corre. Ad ogni passo il mondo intorno a lui cambia forma. Prima colori, poi il buio, il sole, le stelle, il vecchio passo dei solitari che non sanno cosa sia la paura.
Quando finalmente Alan si ferma il mondo appare come un pozzo di oscurità. Il ragazzo riconosce un coniglio.
– Uccidi il re!- dice la bestiola nel fuggire.
E’ buio. Caldo. Alan riconosce il suono degli alberi colpiti dal vento ma non riesci a vederli. Forse non esistono, gli suggerisco io. In un momento di magra compaiono delle stelle tremanti che assomigliano tanto a noi uomini. Alan si perde. Il suo mondo comincia a girare fino a scomparire. I colori si mischiano e i suoni con loro. Unica soluzione possibile, il bianco. Tutto è bianco. Alan ha paura e allora ritorna nella sua stanza. Una realtà diffidente che muore lentamente. Il soffitto ritorna stabile, le farfalle afferrabili e le voci distinguibili. Il profumo del risveglio fa schifo, secondo Alan. Vorrei dargli torto.
Quando Alan ritorna a letto per riposare io ho finito al bagno e presto l’orecchio per ascoltarlo ancora. Lui non mi sente. È immobile.
Alan mi tende la mano ogni volta che si alza da letto ed esce, dopo aver preso qualche pasticca colorata e piegato la realtà.
– Vieni con me- mi fa lui.
– Non posso-
– Codardo-
– Lo so-
Lui viaggia e io sto a guardare.
Storia d’Amore
Storia d’amore
Le storie d’amore hanno sempre il lieto fine. Sempre.
Dopo mille disavventure, se vogliamo vedere la faccenda in chiave cinematografica o romanzesca, la ragazza si innamora sempre del buono e viceversa. Capita spesso che la suddetta ragazza sia immensamente bella ed incarni, casualmente, tutte le caratteristiche care al protagonista del film o romanzo o racconto o qualsiasi altra cosa. Nonostante tale discorso possa apparire colmo di sarcasmo o addirittura come una critica nei confronti di sceneggiatori privi di fantasia e scrittori falliti, sono convinto che anche la mia storia d’amore abbia un lieto fine. Si, ne sono convinto. Convincetevene anche voi.
Fatto questo preambolo posso cominciare la narrazione più o meno interessante della mia avventura amorosa a lieto fine. Premetto, al fine di evitare imbarazzanti malintesi, che sono un convinto sostenitore dell’amore vero, cioè di quel sentimento che si protrae intenso e appassionato nonostante l’età e l’avanzare degli anni.
Sono un scrittore. Fallito. A diciannove anni scrissi un libro, Ancora la Notte, che ebbe un enorme successo a livello internazionale. Vendette milioni di copie, tanto che il mio nome era assai rinomato e blasonato qui e oltre oceano. Divenni ricco. Famoso. Un culto. Tale successo derivava dal fatto, furbo da parte mia, di aver scritto un romanzo che ognuno poteva interpretare a modo suo. Era la storia, anche banale devo dire, di un tizio che beveva e sognava, rafforzata però da uno stile etereo e aperto, qualcosa in cui chiunque poteva riconoscersi. In poche parole il mondo si aspettava un seguito a tale opera. Io però mi adagiai. La fama mi diede alla testa e divenni come il protagonista del mio libro: un alcolizzato completamente distaccato dalla realtà circostante. I primi tempi fu divertente, esaltante, conducevo una vita invidiabile accompagnata da fiumi di alcol che attenuavano la mia solitudine. Poi mano a mano la situazione degenerò. Saltuariamente mi ritrovavo in qualche campo, completamente nudo, con una bottiglia di whiskey in mano lontano mille miglia da casa. Decisi di smettere con quella vita e ricominciai a scrivere. Provai con un romanzo dove il protagonista era sobrio per la maggior parte del tempo ma fu un disastro. Mi colpì il blocco dello scrittore e il terrore per la pagina perennemente bianca cominciava ad assalirmi. Decisi di tornare alle mie abitudini: bevevo e scrivevo di uno che beveva. Ci riuscii. A ventiquattro anni pubblicai I Mostri. Era un viaggio interiore. Troppo interiore. Nessuno lo capì. Secondo la critica questa volta l’interpretazione del libro era univoca, era solamente la mia. Era così che doveva essere fin dall’inizio. Caddi di nuovo nell’alcolismo e diventai ancora il protagonista del mio romanzo. Non uscii di casa per mesi e divenni quello che sono ora: un misantropo. La razza umana mi andava stretta. Non mi capiva e io non capivo lei. Cercai di allontanarmi fino a non frequentare più nessuno. Soffocai tutti i miei sentimenti, il mio umorismo e qualsiasi altra cosa. Al contrario di quello che ci si può aspettare, divenni felice. Felice, come non lo ero da anni.
Continuavo a scrivere, solo per me. Opere inquiete e prive di qualsiasi comprensione da parte di un qualsiasi lettore esterno. Erano solo per me. Scritti per il mio sollazzo. E me ne compiacevo. Incanalavo tutto quel pensare e sfrugugliare in innumerevoli fogli che andavano a riempirsi a ritmi sempre maggiori. Completai un opera. Un opera grandiosa secondo me. Il mondo ovviamente non era pronto ad essa e cominciai ad aspettare. Mi ritirai nell’attesa. Dolce attesa, affinché il mondo potesse cambiare e io tornare allo scoperto. Seguirono giorni vuoti in cui mi capacitavo dello scorrere lento e curioso del tempo. E poi arrivò lei. Regina di tutti noi.
In questi casi, quando nella narrazione subentra tale figura, l’equilibrio stabilito dall’autore cambia inesorabilmente e, sempre, sempre, il nuovo personaggio riporta quello vecchio, il misantropo in questo caso, nella situazione positiva ed ideale accennata di solito all’inizio, qui la fama dello scrittore e il momento di successo.
Lei arrivò in un modo banale come banale si presenta sempre la realtà. Mi bussò alla porta.
– Non c’è nessuno!- urlai io.
– Chiedo scusa- disse lei.
Una voce femminile. Erano mesi che non sentivo una voce, figurarsi una femminile. Mi alzai dalla mia poltrona, fonte di pace e quiete ed andai ad aprirle. La vidi per la prima volta di spalle, con una maglietta nera, jeans tagliati sopra i ginocchi e una cascata di capelli rossi. Poi si voltò. Un viso angelico, intrigante, surreale che quando finalmente si accorse di me rimase perplesso come era giusto che fosse. Non mi facevo la barba da diverso tempo, sette o otto mesi e i capelli crescevano già da diversi anni. Vestivo in modo normale però, o almeno in quello che io definivo normale. Le rivolsi la parola cercando di non sembrarle più strano di come già mi presentavo.
– Chiedo scusa. Sai, è un po’ che non vedo qualcuno-
Lei ci mise un po’ a rispondere. Vidi le sue idee riorganizzarsi e poi aprì bocca.
– Sono io a chiederti scusa. È solo che da quando ti sei trasferito qui non ti ho mai visto e, ammetto, mi sono fatta prendere un po’ dalla curiosità. Abito alla porta qui di fronte-
Era vero. Era quasi un anno che vivevo lì per il mio ritiro dal mondo e nemmeno io avevo mai visto quella ragazza.
– Se ti va, puoi entrare, posso offrirti qualcosa da bere?- chiesi.
– Emm…- ci pensò su – credo di si-
Si incamminò verso la mia soglia. Mi tese la mano.
– Mi chiamo Hel-
Ricambiò la stretta.
– Io Tom…-
Mi guardò fissa negli occhi. Cercava qualcosa dentro di me.
– Tu assomigli a… no niente lascia perdere! È una sciocchezza!- fece lei.
– Come vuoi-
Casa mia era ordinata. Non c’era molto: libri, qualche migliaio, e la collezione di dischi di psichedelia che mi aiutavano nei miei flussi creativi. Quando lei entrò girava Boogie with Canned Heat, uno dei migliori. Hel rimase ad osservare estasiata l’immensa libreria che faceva capolino nella sala non troppo illuminata. Poi notò il mio più grande vezzo: una vecchia macchina da scrivere del 1968, una splendida Olivetti Valentine.
– Tu sei uno scrittore?- disse lei con grande imbarazzo.
– Credo di si- risposi con un sorriso impacciato abbassando lo sguardo.
Infine fece caso alle copertine incorniciate dei miei due romanzi pubblicati, unico mio segno di immodestia.
– Tu sei Tom…-
– Credo di si…- la interruppi io.
– Lo scrittore di Ancora la Notte!-
– Si…-
– E I Mostri!- con crescente emozione.
– Credo di si…-
– Io.. io adoro quei libri!-
– Mi fa piacere- dissi con imbarazzo evidente.
– Ecco vedi, chissà in quanti te lo hanno detto ma, io ho preferito il secondo, I Mostri, perché quando lui, il protagonista, finisce il suo viaggio interiore e torna a vivere nel mondo reale, beh, credo che sia geniale!-
La cosa mi aveva incuriosito. Di solito tutti dicevano di preferire il primo libro perché riuscivano a trarne loro la conclusione. Hel era la prima persona che diceva il contrario.
Inciso: nella finzione questo è il momento in cui la nuova arrivata conquista il cuore del protagonista convincendolo con argomentazioni a lui congeniali che, fino ad allora, non aveva mai ascoltato. Fine inciso.
– Potrei sapere perché lo hai trovato geniale?- volevo vedere dove arrivava.
– Beh, credo, è solo una mia opinione, che tutto il processo di alcolizzazione del protagonista e il successivo ritiro spirituale con viaggio interiore abbia portato ad una purificazione del soggetto ed allora, credo, si può parlare di catarsi… secondo me I Mostri è un romanzo catartico-
Ero impressionato. Aveva colto nel segno: il senso di quel romanzo era quello e basta. Fino ad allora solo pochi letterati lo avevano capito e nessun lettore mi aveva mai fatto un discorso del genere.
Bevemmo qualcosa di leggero per rompere il ghiaccio. Lei si ubriacò. Io rimasi a guardare la sua incantevole figura senza dire niente. Non sapevo minimamente che fare. Qualsiasi mio gesto avventato avrebbe potuto rovinare quel momento. Misi allo stereo un disco a caso dei Grateful Dead e lei cominciò a danzare a ritmo. Era bellissima, ipnotizzante. Avrei voluto fermare il tempo per continuare a vivere quel momento dannatamente bello per tutta la vita. Mentre lei ballava io presi un momento per me stesso e riflettei sul da farsi. Non ci misi molto ad arrivare all’unica conclusione plausibile: mi ero innamorato. Mi chiedevo se era perché aveva capito il mio libro come nessuno o perché era di una bellezza sconvolgente. Decisi che era un unione delle due cose.
– Vieni a ballare- mi fece lei tendendomi la mano chiara.
Mi alzai e la baciai. Lei chiuse gli occhi e finimmo col rotolarci nel letto, sfatto da tre mesi.
– Vorresti leggere una cosa nuova?- le chiesi.
– Tua?-
– Si-
– Certo-
Presi il nuovo scritto a cui ancora non avevo dato un nome, un pacco di quasi trecento fogli.
– Wow!- fece lei – mi ci vorranno settimane per leggere tutto!- disse lei.
– Io ho tempo-
Lei mi guardò con occhi ancora pesantemente provati dall’alcol, avevano assunto un espressione divertita e provocante.
– Dove la realtà in tutto questo?- chiesi.
– Cosa?-
– Niente, lascia stare-
Passarono due mesi. Vivemmo insieme. Uscivamo solo per andare a comprare cibo. Perdemmo qualsiasi cognizione temporale e altre cose simili. Faceva caldo ma non sapevo in che mese fossimo, la cosa non mi interessava minimamente. Accendevamo candele per tutta casa e aspettavano la caduta del sole, tutti i giorni. Finimmo per perdere anche noi stessi fino ad assumere nuove identità. Tutto il mondo, fuori, era estraneo.
Inciso: questo è il momento nella storia in cui accade qualcosa che rompe il nuovo equilibrio acquisito dai protagonisti e questi fanno di tutto per riparare a tale situazione. Alla fine, nelle migliori storie, i protagonisti riescono sempre a risolvere i problemi sorti e creano addirittura un universo narrativo nuovo e ancora più felice del precedente. Fine inciso.
E qualcosa accadde. Pensai che fosse un bene perché ho letto troppi libri e la mia idea di amore più che qualcosa di reale è una concezione scritta da altri. Credevo che quello che mi stava succedendo seguisse delle regole ben precise perché, mi chiedevo, la realtà, quanto può essere diversa dai libri?
– Ho finito di leggere il tuo nuovo scritto- fece lei all’improvviso rompendo uno dei tanti silenzi.
– Ti è piaciuto?-
Non rispose subito. Aspettavo con ansia la risposta. Sapevo che il mio futuro dipendeva da quella risposta.
– E’ splendido- rispose infine.
– Mi fa piacere. Pensi che posso pubblicarlo?-
– Sicuramente- fece lei con aria afflitta.
– Bene! Mi fido della tua parola-
Lei sorrise flebilmente.
– Allora, io vado- fece poi.
– Vai dove?-
– Torno a casa mia-
– Devi solo attraversare il pianerottolo-
– No, abito dall’altra parte della città-
– Cosa?- non capivo.
– Sapevo fin dall’inizio chi fossi. Sapevo dove abitavi e volevo conoscerti. Poi tu mi hai dato la possibilità di leggere il tuo nuovo scritto e… beh, è stupendo!-
– Mi hai ingannato?-
– Se vuoi metterla in questo modo-
– E cosa mi dice che tu non mi stia mentendo anche sullo scritto?-
– Devi fidarti, perché dovrei dirti una bugia sul libro?-
Ci fu un attimo di silenzio. Un attimo immenso.
– Scusami- ricominciò lei – non so cosa mi abbia preso. Di solito non piombo nelle case degli altri a leggere le loro cose. Ho sentito di doverlo fare-
Mi sorrise, e se ne andò. L’ultima volta che la vidi, fu come la prima: di spalle. Stessa maglietta e stessi pantaloni della prima volta. Gli stessi capelli, rossi, luminosi, che cadevano con disinvoltura sulle spalle piccole. La sentii scendere le scale e niente più.
Solo molto tempo dopo capii il compito di Hel nel mio universo. Lei voleva farmi uscire di nuovo nel mondo reale, tornare a farmi pubblicare le mie opere, darmi di nuovo le sembianze di uomo normale. Come nel mio romanzo I Mostri. Un intento ammirevole, è vero, ma io ero il mio universo e non volevo abbandonarlo. Il mondo fuori non era pronto alla mia opera e ricominciai ad aspettare. L’attesa, lenta e inesorabile, era l’unico modo per tornare alla realtà. Ne ero sicuro.
A questo punto, verso l’epilogo, ritorna la figura femminile per ridare alla situazione un tono positivo e rendere felice il protagonista e, di conseguenza, tutti i lettori. In poche parole, il lieto fine che ci si aspetta. Nella mia storia lei non torna perché la realtà oltre ad essere banale è anche vendicativa: io ero fuggito da lei e mi aveva punito.
Tuttavia, nelle righe iniziali, avevo promesso al lettore un lieto fine.
Pensai a lei tutti i giorni della mia vita. Mi ero innamorato. Non mi era mai successo. Gli scrittori scrivono grandi cose sull’amore. Presi un appunto su di un foglio bianco e lo attaccai bene in vista in mezzo agli altri. C’era scritto: scrivi una storia d’amore, magari è la volta buona.
E la scrissi.
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Diaologo surreale con tragedia
Ci siamo
Attimo di svago prima dell’inevitabile
PASSATO
-la prima maestra dell’asilo: una certa Elena. Adesso è una serial killer
-l’ultima parola che hai detto: e che cazzo!!! (dopo aver visto il numero di insufficienze ai quadri…)
-l’ultima canzone che hai cantato: Flick of the switch degli AC/DC… ROCK’n’ROLL!!!
-l’ultima cosa per cui hai riso: vedi parentesi seconda domanda
Presente
-cosa c’è nel tuo lettore mp3: SOLO rock’n’roll (e una canzone di enya…)
-di che colore sono i calzini o le scarpe che indossi: i calzini grigi… le ciabatta blu co bart simpson!
-cosa c’è sotto il tuo letto: due chitarre elettriche (una è la mia celeberrima stratocaster…)
FUTURO
–quale sarà il tuo lavoro: musicista e scrittore alcolizzato
-dove vivrai: a casa mia
-quanti figli desideri: prima mi sposo…
-che macchina guiderai: dipende, spero una chevrolet
CORRENTEMENTE
-capelli: immensamente lunghi
-vestito: pantaloncini e inseparabile magliettone di elvis
-gioielli: in gioielleria
-noia: studiare per gli esami…
-odore: diciamo che non puzzo
-desiderio: passare gli esami
-desktop: Riccardino (blackmore) e glover
-libro: Paura e delirio a las vegas
-preoccupazione: gli esami di stato bastano?
-vestito preferito: nudo
-parte fisica in un partner: culo, occhi e labbra
-persona che vorresti lì con te: il prof di filosofia perché non ci capisco un cazzo
-frase che hai scritto a qualcuno: sei la risposta ad una domanda che nessuno ha mai posto. A mirna, inseparabile compagna di stronzate a scuola…
-sono felice quando: ho finito gli esami
-mi sento solo quando: adoro stare solo
-se potessi vivere in qualche luogo: già ci vivo in qualche luogo stù!
-hai dei rimpianti: si: non aver preso l’agrario
-sesso o amore: chiedi a federica
-odore preferito: il mio cane bagnato… o forse sono io?
-cosa ti rende incazzato: il fatto che non posso andare a vedere i maiden per la seconda fottutissima prova d’esame
-modo preferito per perdere tempo: fare test idioti con risposte ancora più idiote
-la tua migliore qualità: la svizzera
-sei innamorato: assolutamente no… però ammetto che vorrei
-la cosa più stupida che hai fatto in questi giorni: studiare
-brutte abitudini: vedi sopra
-stagione preferita: inverno
-colore preferito: porpora (ogni riferimento a gruppi rock è puramente casuale)
-momento della giornata: tutta la giornata
FASHION
–quanti cappotti hai: 2, quello di cammello (non scherzo) e quello di pelle del 1977 (era di papino)
-indossi un orologio: solo quando esco, il mitico casio
-colore di pantaloni: di solito neri ma il marrone autunno mi piace sempre
-più vissuto: il cappotto di pelle (si è fatto quasi tutti i concerti che ho visto più quelli di papà!)
ULTIMO
–libro letto: uno nessuno e centomila di pirandello
-film visto al cinema : l’uomo dell’anno di Barry Levinson
-film visto: the prestige di Christopher Nolan
-telefilm visto: le repliche di x files
-canzone sentita: el paso dei grateful dead
-cosa bevuta: coca cola
-cosa mangiata: cereali a colazione
-doccia: due anni fa, ancora me la ricordo
-volta che hai sorriso: sorrido di continuo
-risata: un ora fa co mirna dopo aver visto i quadri
-persona che hai abbracciato: mamma
-persona con cui hai parlato online: adriano parecchio tempo fa
-persona con cui hai parlato al tel: soroma
questo per far vedere che, nonostante gli esami, sono lo stesso burlone di sempre
L’amore
Trouble, storia e critica del più grande gruppo metal di sempre
- continuare la tradizione rock degli anni 70, con improvvisazioni, schemi classici dell’hard rock, capelli lunghi (molto lunghi) e look vintage
- perfezionare il Doom Metal dei Sabbath, con alternanza di ritmiche lente e veloci (ma tanto veloci!) e testi religiosi
- registrare i due dischi metal più belli degli anni 80
- inaugurare il suono pulito e pesantissimo che ricercheranno tantissime band successive con scarsi risultati
- diventare un gruppo cult
Se tutto ciò vi sembra esagerato ascoltate i primi due dischi e poi ne riparliamo.
Per il terzo disco, Run To The Light (Metal Blade, 1987) la storia cambia. Il gruppo cerca un suono più grezzo e abbandona in parte le sonorità doom per adottare un classico sound Heavy Metal. Il risultato non è esaltante nonostante la presenza del brano The Misery Show, forse uno dei migliori pezzi dei Trouble. Il resto del disco è un onesto miscuglio di hard rock con vene di psichedelia anni 60 e tanto, tanto, ma veramente tanto virtuosismo chitarristico.
Seguono tre anni di concerti ininterroti tra abusi e eccessi di ogni tipo. Il risultato di tale preparazione è impressionante: nel 1990, prodotto dal re mida del metal Rick Rubin per la Def American, esce un disco con lo stesso nome della band. Trouble è il ritorno alle care sonorità doom però appesantite da muri di distorsioni, dall’esperienza e soprattutto da tanto alcol. Non mi viene da scrivere altro su questo disco perchè va ascoltato tutto di un fiato in religioso silenzio. Posso solo aggiungere che mentre tante band meditavano cambi di rotta (Metallica ehm ehm….) loro hanno registrato uno stupendo disco Heavy Metal che penso faccia invidia ai grandi dell’epoca.
A seguire, sempre con Rick Rubin sulla Def American nel 1992, Manic Frustration. Gli ingredienti non cambiano anche si il risultato è meno emozionante del precedente disco. Nel 1995 cambiano casa discografica (la Century Media, quella dei Blind Guardian) e si autoproducono Plastic Green Head, ancora onesto Heavy Metal classico senza però, ammetto, tanto mordente. Il tour dura fino al 1997 quando la band decide di prendersi la prima pausa di riflessione della loro carriera.
Nel 2002, per la gioia dei fan, rimetteno insieme niente meno che la formazione storica del secondo disco, quella con Jeff Olson alla batteria e Sean McAllister al basso (chitarristi e cantante sono sempre gli stessi), e ripartono con un tour mondiale. Finalmente a marzo del 2007 esce il loro nuovo disco, Simple Mind Condition (Escapi Music), un concentrato di violenza metal con rimandi al caro vecchio doom e all’hard rock dei settanta che non hanno mai abbandonato. La produzione è di nuovo impeccabile, quasi quanto quella del 1984 per Psalm 9 e la presenza della prima traccia, Goin’Home, un epica cavalcata dalla ritmica assassina, mette in risalto le chitarre in un incipit talmente bello che il resto del disco va da se.
Beh, mi sono lasciato trasportare un pò dalle emozioni, ma mi auguro di aver reso un pò l’idea della grandezza impressionante di questa band, alla quale, aimè, non si è mai data la giusta importanza.
Buon rock’n’roll a tutti