Capitolo terzo de “L’Araldo” ovvero Che vuol dire scrivere un romanzo

Oggi, dopo due mesi di latitanza, ho rimesso mani sul romanzo. Risultato?

Disastro.

Arenato al terzo capitolo quando il Re del Villaggio deve celebrare la festa dell’Inverno con un discorso, ignorando tutti i segreti e i problemi che si porta dentro. Molto appropriato Marco, molto appropriato!

Scrivere un romanzo è peggio di quello che si possa pensare. Non è tessere una trama e scriverla, non solo. Significa progettare ogni singolo passaggio fin dall’inizio, capire subito dove deve andare la storia e sapere esattamente cosa pensano e debbano fare i personaggi. Una cosa scontata, si può pensare, ma tra il dire e il fare…

In pratica tutto questo è l’esatto contrario di quello che ho fatto finora, povero ignaro scribacchino di racconti. I racconti sono una piccola bolla temporale dove tutto è perfetto, una forma cristallina di letteratura dove in poche pagine ci si permette di inventare un mondo, dare a vita a personaggi e scogliere o tessere storie per lo più autoconclusive. Si può partire da una piccola idea e, per lo più, improvvisare.

Nel romanzo questo non può avvenire ovviamente: da un mondo si deve creare un universo e tutti i dettagli devono essere al loro posto, tutto deve “tornare” e ogni cosa essere perfettamente congruente al resto. Un bel lavoraccio.

Del terzo capitolo ho già tre stesure, ognuna delle quali prevede un grosso rimaneggiamento dei due capitoli precedenti. Qualsiasi stesura sceglierò, sarà un problema e comporterà tanto lavoro di riscrittura. Superata questa impasse dovrò dare un finale degno al capitolo perché chiude la prima breve parte del romanzo. Ah sì, perché di per sé non era abbastanza complicato, così ho deciso di dividere il romanzo in tre parti che equivalgono a tre epoche differenti, i protagonisti cambiano ma la storia rimane la stessa!

Per disintossicarmi un po’ da tutto ciò ho scritto un paio di racconti in cui tutto mi sembra più facile, più bello, più raggiungibile.